Onorevoli Colleghi! - In tutti i Paesi sviluppati si è assistito a un progressivo invecchiamento della popolazione che ha comportato inevitabilmente alcune trasformazioni della società e della famiglia e nuovi approcci alla programmazione socio-sanitaria con rilevanti ripercussioni sul versante dei costi. In Italia, secondo i dati relativi al 2005, il 19,5 per cento della popolazione ha più di sessantacinque anni e si stima che nel 2030 si giungerà addirittura al 27 per cento e nel 2050 al 33,4 per cento: infatti, se nel 1996 vivevano 9,6 milioni di persone anziane, nel 2030 si

 

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stima che saranno 14,4 milioni, con un costante incremento del tasso percentuale di persone non autosufficienti.
      Questo incremento deve quindi fare riflettere sul fatto che l'età che avanza comporta, oltre al peggioramento delle condizioni di salute, tutta una serie di patologie invalidanti, disabilitanti e degenerative (ad esempio il morbo di Parkinson o quello di Alzheimer) che portano alla non autosufficienza, anche se si deve tenere presente che tali patologie a volte affiorano anche in età adulta e perfino giovanile.
      Si è verificato un incremento notevole delle patologie degenerative croniche e delle condizioni di dipendenza parziali o totali e tale incremento è in fase di costante evoluzione. Per contro le famiglie, sempre più fragili numericamente e anche psicologicamente, non sono spesso in grado di sostenere il carico fisico, psichico ed economico che comporta il prestare un'assistenza adeguata a questo tipo di malati. In tale prospettiva devono essere considerate a buon diritto, accanto alle strutture formali di assistenza, quali l'ospedale e i presìdi territoriali, spesso insufficienti e inadeguati, anche le strutture informali quali quelle assicurate dal volontariato e le stesse famiglie dei malati, opportunamente sostenute.
      Se la nostra società e la cultura dominante pongono a fondamento dell'esistere, e quindi del senso del vivere, l'avere, il potere, il piacere o, in altri termini, il trinomio «produzione, consumo, profitto» che domina in un'epoca post-moderna come l'attuale, si è inevitabilmente condotti a valutare le persone non più per quello che sono, ma per quello che hanno, che fanno o producono. In una simile società e cultura la condizione di anziano non può allora che considerarsi come una condizione di emarginazione.
      Se non riusciremo a spezzare o a invertire questa spirale di emarginazione delle persone anziane, così come dei più deboli e indifesi, favorendo quindi la crescita e la diffusione dell'accoglienza e della solidarietà, base di una nuova cultura della vita, non potremo che assistere passivamente alla crescita di domande senza risposte, al rifugio in gesti di disperazione, al dominio dell'indifferenza e all'affermazione dell'egoismo in un mondo arido e senza valori.
      Inoltre, è stato considerato che oltre il 5 per cento della popolazione italiana è colpito da almeno una disabilità. La fascia di popolazione affetta da disabilità necessita di particolari attenzioni sia perché costituita da persone destinate a convivere con una limitazione spesso rilevante della propria autonomia funzionale sia perché le medesime persone sono esposte al rischio di possibili ulteriori involuzioni. È evidente che i bisogni complessi di tali soggetti necessitano di risposte assistenziali articolate e composite che devono di logica scaturire da una revisione e da una riorganizzazione dei servizi offerti, tesi non solo a gestire la «menomazione» o la «minorazione funzionale del soggetto» ma orientati verso un processo sanitario, sociale ed educativo diretto a potenziare le funzionalità residue e a valorizzare le cosiddette «abilità diverse».
      La lotta alla disabilità deve essere un problema prioritario nella moderna società post-industriale, dato che la caratteristica saliente, specialmente dell'anziano, dal punto di vista sociale, è esattamente il rischio della non-autosufficienza. L'obiettivo della politica socio-sanitaria per l'anziano deve essere allora quello di potenziare le strutture e le risorse non solo e non tanto per il trattamento della patologia acuta, ma specialmente per la prevenzione della disabilità.
      È pertanto pressante l'esigenza di individuare nuovi strumenti affinché la società possa fare fronte ai costi, crescenti in misura iperbolica, collegati alla disabilità, in particolare nella sua componente anziana. Da qui la proposta della istituzione di un Fondo nazionale di solidarietà (articolo 1 della proposta di legge).
      Si tratta di un problema di grandissima e crescente rilevanza economica, per i numeri in progressivo aumento della popolazione cui si rivolge; in più, si tratta, come è noto, di bisogni su cui è assai arduo operare una valutazione statistica
 

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preliminare. Oltre ad adeguate risorse (molto superiori a quelle attualmente disponibili) è altrettanto indispensabile una adeguata organizzazione sia sul versante della assistenza sanitaria che su quella sociale, prevalentemente tese a mantenere il paziente al suo domicilio.
      Appare urgente allora una riorganizzazione delle strutture territoriali del Servizio sanitario nazionale e, soprattutto, la effettiva realizzazione di quella rete di servizi aperti sul territorio che dovrebbe costituire la più efficace modalità di assistenza globale, facilitando e stimolando tutte le iniziative necessarie per consentire la permanenza delle persone non autosufficienti nel proprio domicilio o presso il proprio nucleo familiare (articolo 4).
 

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